La voglia di trascorrere una vacanza in un luogo lontano dalle solite mete turistiche, ci fa optare per un viaggio in Mongolia. Espletate le pratiche burocratiche (consistenti nella richiesta del visto al consolato onorario mongolo con sede a Torino, e successiva spedizione del passaporto tramite corriere convenzionato che nell’arco di pochi giorni ci riconsegnerà a domicilio il tutto), siamo pronti per la partenza.
La Mongolia è una destinazione ancora relativamente poco battuta, e sono poche le compagnie aeree che vi arrivano. Per chi viaggia dall’Italia la scelta Aeroflot è pressoché obbligata. Per risparmiare qualche centinaio di euro a testa partiamo da Milano anziché dalla molto più comoda Venezia: dobbiamo fare scalo a Mosca, dove non possiamo uscire dalla zona internazionale dell’aeroporto a meno di non essere in possesso di visto russo. Poco male, perché all’andata dobbiamo aspettare solo due ore prima di imbarcarci per Ulan Bator. Il volo dalla capitale russa a quella mongola si rivela scomodissimo: i sedili sono stretti e a fianco di uno di noi è seduto un belga di notevole stazza che per tutto il viaggio non fa altro che bere vino, vodka e… sudare.
Arriviamo comunque vivi e vegeti in Mongolia alle 7 di mattina e, dopo aver cambiato un po’ di soldi, ci facciamo portare in centro da un tassista improvvisato. Non abbiamo prenotato un posto per dormire e perdiamo la mattina a cercarne uno. Notiamo subito come gli alberghi qui siano pochi e molto cari rispetto agli standard asiatici: decidiamo quindi di orientarci verso una ben più accessibile guesthouse. Ne dobbiamo girate diverse prima di trovarne una che avesse una stanza doppia libera. Alla fine troviamo posto alla Khongor Guesthouse: inizialmente vorremmo pernottare lì per una sola notte e poi cercare qualcos’altro. Ma poi il prezzo economico (circa 9 euro al giorno per la stanza), la possibilità di poter prenotare tour direttamente, e la posizione centrale ci fanno decidere di rimanere lì per tutto il periodo di ferie, o perlomeno per i giorni che resteremo ad Ulan Bator, visto che una parte considerevole della nostra permanenza in Mongolia la trascorreremo in giro per le sterminate lande desolate del Paese.
Al di fuori della capitale è pressoché impossibile viaggiare da soli: la rete ferroviaria è limitata al solo asse nord-sud (si tratta della linea che unisce la Russia alla Cina) e i minibus adibiti a trasporto pubblico sono utilizzati quasi esclusivamente dai mongoli per trasportare le merci ingombranti che acquistano nella capitale fino agli angoli più sperduti dello Paese. Per spostarsi da un posto all’altro della Mongolia ci vogliono ore e ore, talvolta giornate, di viaggio in dissestate strade di terra battuta (quelle asfaltate sono rare e per lo più situate nei pressi della capitale), ma quando si arriva a destinazione si dimenticano i disagi fin lì sopportati.
Non resta quindi che affidarsi ai tour organizzati, che permettono di noleggiare una jeep (o, più spesso, un minivan) con autista e sono comprensivi di pernottamenti e pasti (e non è cosa da poco, per noi vegetariani, avere qualcuno che ci metta a disposizione piatti adeguati in un Paese in cui la dieta è quasi esclusivamente carnivora). La nostra prima destinazione è il monastero di Amarbayasgalant. Il termine “cattedrale nel deserto” è quanto mai adeguato per definire questo monastero. Si tratta di una bellissima costruzione attorniata da mura, situata in mezzo al nulla. Amarbayasgalant è uno dei principali templi buddisti della Mongolia ed ha un fascino enorme: a livello architettonico ricorda molto lo stile cinese piuttosto che quello tibetano, e così sarà per gran parte degli edifici religiosi che avremo modo di vedere in Mongolia.
La notte dormiamo in una gher (la tipica tenda circolare dei nomadi mongoli). E’ un’esperienza indimenticabile: fuori c’è un bellissimo cielo stellato e dormire in mezzo alla natura lontani dal tran tran del mondo occidentale fa bene allo spirito.
Il giorno seguente lo trascorriamo assieme ad una famiglia di nomadi: li osserviamo nelle loro attività quotidiane, legate in particolar modo all’allevamento, e giochiamo con i bambini a giochi in cui si inventano loro tutte le regole (ad esempio, una dama in cui solo loro possono mangiare le nostre pedine…). Come spesso accade in Asia, veniamo scambiati per americani. Chissà poi perché ogni occidentale viene considerato uno yankee… per quanto ci riguarda, tutto vorremmo sembrare a parte che sudditi dell’impero a stelle e strisce.
Dormiamo ancora in una gher, ma questa volta non si tratta più di una tenda solo per noi come quella della prima notte. Da ora in avanti dovremo abituarci a dormire assieme alle famiglie nomadi, in tende che non brillano certo per pulizia: anche questa, tuttavia, è un’esperienza da fare!
Ritorniamo ad Ulan Bator e ci ritempriamo prima di intraprendere un altro lungo viaggio, questa volta con destinazione Karakorum: non si tratta dell’omonima catena montuosa, ma della vecchia capitale dell’impero mongolo. In realtà, dei fasti dell’epoca non resta nulla. La città fu rasa al suolo dai cinesi e dalle rovine sono stati costruiti degli edifici religiosi circondati da mura su cui si ergono 108 stupa (monumenti votivi utilizzati per conservare reliquie) bianchi: il monastero di Erdene Zuu.
Il colpo d’occhio dell’insieme è sensazionale e ripaga di tutte le ore passate nel minivan a sobbalzare per ogni buca. Trascorriamo qualche ora a visitare i diversi templi, immergendoci nella pace del luogo. La sera assistiamo ad uno spettacolo caratterizzato dall’esibizione canora di un anziano che ci fa conoscere il Khoomei, il canto gutturale tipico delle popolazioni mongole (va detto che di per sé la lingua mongola presenta già diversi suoni gutturali): assistiamo anche alle prodezze di una giovanissima contorsionista, e poi andiamo a goderci il meritato riposo in una gher situata all’interno di un villaggio turistico (se così si può chiamare). Il giorno seguente facciamo una breve escursione alla Boovon Khad, una roccia fallica meta di pellegrinaggio da parte delle donne che vogliono avere figli. Fatte le foto e le battute di rito, riprendiamo il cammino verso Ulan Bator. Per strada ci imbattiamo in una manifestazione ludica tipica della Mongolia: si tratta di una selezione locale per il Naadam, la più grande manifestazione sportiva che si svolge nel Paese, nella quale gli atleti gareggiano in tre discipline sportive (lotta, equitazione e tiro con l’arco).
Dopo qualche giorno di relax nella capitale, è la volta della terza ed ultima escursione: quella nel deserto del Gobi, che ci terrà impegnati per cinque giorni. Pur preferendo viaggiare da soli (cioè senza altri turisti), il caso vuole che due ragazze giapponesi abbiano organizzato con la stessa agenzia il nostro stesso tour per i medesimi giorni. Quindi, anche se con automezzi diversi, facciamo il viaggio assieme. Man mano che ci addentriamo nel deserto, la prima cosa che viene da pensare è che non è poi così diverso dal resto della Mongolia. Si tratta di una steppa con una vegetazione composta quasi esclusivamente da erba e piccoli arbusti, con l’alternanza di zone più brulle e di altre un po’ più rigogliose. Soltanto, con l’incidere dei chilometri scompaiono via via le aquile che invece nel resto del Paese volano numerosissime in cielo e che spesso capita di incrociare appollaiate per terra o sopra qualche palo ad appena pochi passi di distanza.
Il primo giorno di viaggio ci fermiamo a Baga Gazariin Chuluu, una montagna di granito in cui la roccia è modellata a formare un paesaggio che pare extraterrestre. Qui un tempo sorgevano dei templi, e qualche rovina, anche se ormai quasi inglobata dalle rocce, si può ancora intravedere. Dopo aver trascorso la notte in una gher, la mattina siamo pronti per ripartire: prossima tappa è il deserto come viene pensato nell’immaginario collettivo, che occupa soltanto una piccola parte della superficie del Gobi; noi abbiamo l’opportunità di vedere le dune di sabbia di Moltsog. Sembra di stare in una grande spiaggia in un ambiente, però, montuoso anziché marino. Ci divertiamo per un po’ a scorrazzare tra le dune e ripartiamo quindi alla ricerca di una gher in cui dormire. Molto spesso le guide dei tour vanno alla ricerca sul momento di un posto dove passare la notte: i nomadi sono ospitali e, particolare non trascurabile, non disdegnano qualche togrog (la moneta mongola).
Il tour nel Gobi riparte l’indomani con le visite a Bayanzag e a Temeen Shavar: si tratta di paesaggi dominati dal colore rosso della terra e da vegetazione molto rada. In età remote qui doveva esserci una presenza piuttosto nutrita di dinosauri, tant’è che nei dintorni si continuano a trovare resti di questi animali preistorici.
Ci trasferiamo poi a Yoliin, una zona di montagna con sentieri molto piacevoli da percorrere, che si snodano tra rocce ruscelli e dai quali scorgiamo vari animali tra cui diverse marmotte. La sera, prima di andare a coricarci (ovviamente, ancora in una gher), veniamo convinti a fare un giro in cammello, nonostante una certa contrarietà all’utilizzo degli animali a fini ludici. Fatto sta che a fine cavalcata, Gabriele viene disarcionato e cade rovinosamente a terra, facendosi male ma, fortunatamente, non troppo. Siamo in mezzo al deserto, a centinai di chilometri dal più vicino ospedale e i cellulari non prendono: non ci si può permettere di lamentare dolori. L’autista della jeep ci porge due bicchieri di vodka “Chinggis” a mo’ di medicina e tutto finisce lì.
Comincia la mattina successiva la lunga marcia verso Ulan Bator: dopo ore e ore di viaggio ci fermiamo a pernottare nell’ennesima gher nei pressi della cittadina di Erdene Dalai. Quest’ultima è un agglomerato di case per lo più in legno e lamiera con qualche edificio in mattoni di impronta sovietica. Come in tutti gli altri centri abitati (sono tutti simili, se si eccettua Ulan Bator, che fa storia a sé), i bagni sono posti poco distanti dalle ultime case e consistono di una casetta in legno (o, talvolta, costruita con l’abitacolo di un camion) che poggia su delle assi posizionate in maniera tale da lasciare una fessura piuttosto ampia; la fessura a sua volta si apre sopra una buca profonda che rappresenta la rete fognaria.
Ormai siamo stanchi di trascorrere gran parte della giornata a guardare fuori dal finestrino paesaggi che dopo un po’ risultano essere sempre uguali. Passiamo ore a contare i copertoni dei camion che vengono abbandonati in gran numero ai bordi della strada e quando arriviamo a Ulan Bator (nel tardo pomeriggio) non possiamo esimerci dal recarci a rilassarci al chioschetto della Tiger (ottima birra mongola).
Per quanto riguarda Ulan Bator, l’abbiamo visitata approfittando dei giorni di intervallo tra un tour e l’altro: la città ci è subito piaciuta tantissimo. Piuttosto inquinata (come molte città asiatiche), appare ai visitatori come un misto di vecchia capitale di stampo sovietico e città in continuo mutamento in cui trovano posto, gli uni accanto agli altri, modernissimi centri commerciali e piccole bancarelle in cui si vendono sigarette e frutta e che fungono anche da telefoni pubblici (sopra un banchetto è posizionato un telefono collegato chissà dove di cui i mongoli usufruiscono spesso!). Prendiamo subito confidenza con i luoghi più conosciuti: il centro è costituito da Piazza Sukhbathaar, la classica piazza di vaste dimensioni di stampo sovietico dominata dal palazzo del Parlamento presso il quale è situata una statua di Gengis Khan (una statua di modeste dimensioni, in attesa di quella molto più grande che le autorità hanno in cantiere di costruire). Non distante vi è un grande centro commerciale in cui si trova un po’ di tutto e che fungerà come punto di riferimento sia per cambiare soldi che per l’acquisto di diverse cose. Tra i luoghi che visitiamo il più incantevole è di sicuro il Monastero di Gandan, nel quale assistiamo ad una cerimonia cui partecipavano decine e decine di monaci oltre a numerosi fedeli. Per il resto, visitiamo un paio di musei (Museo di storia naturale e Museo Nazionale di storia mongola) mentre rinunciamo ad altri luoghi che magari avrebbero anche meritato una visita, preferendo bighellonare un po’ per la città, che dal nostro punto di vista merita veramente di essere conosciuta non soltanto da un punto di vista turistico. La penultima sera andiamo alla collina di Zaisan, dove si trova un Memoriale dedicato all’antica amiciza mongolo-sovietica. Si tratta di un insieme monumentale imponente, di stampo tipicamente socialista, sopravvissuto al cambio di regime avvenuto in seguito alla disgregazione dell’U.R.S.S. La collina è frequentata abitualmente dai giovani del posto, che vi si recano per trascorrere dei momenti romantici. Il panorama di Ulan Bator che si vede da qui è sensazionale, e ci lascia tanta malinconia, visto che siamo ormai agli sgoccioli del nostro viaggio. Scesi dalla collina, visitiamo anche un parco che si trova nei dintorni, caratterizzato dalla presenza di una grande statua dorata di Buddha: anche qui è pieno di gente che ne approfitta per una passeggiata o per pregare. Arriviamo così alla fine della vacanza: l’ultimo giorno ad Ulan Bator lo dedichiamo allo shopping (tra le altre cose, troviamo anche la maglia della nazionale di calcio mongola, una chicca…) e a sedute di massaggi (qua veramente economici). La mattina dopo ci imbarchiamo nuovamente su un volo Aeroflot diretto a Mosca e, dopo sette interminabili ore trascorse all’aeroporto Sheremetyevo in attesa della coincidenza, a malincuore saliamo sull’aereo che ci riporterà in Italia.
6 commenti
Splendida Mongolia. Io l’ho solo attraversata nel mio viaggio sulla Transiberiana, anzi… sulla Transmongolica, da Mosca a Pechino attraverso Ulan Baatar. Mi piacerebbe tornarci per penetrare davvero il deserto dei Gobi, nella sua parte più suggestiva.
Ciao Paolo, anche io l’ho attraversata durante la mia Transmongolica ( https://www.viaggioideale.it/2008/06/transiberiana-da-mosca-a-pechino/ ). Ma ho anche fatto tappa di 5 giorni a Ulaan Bataar. Anche io come te ci vorrei ritornare per visitare il deserto e altre zone di questo immenso e straordinario Paese..
Cinque giorni a Ulan Baatar anche io, o forse quattro. Ma li ho spesi tra la città e gli altopiani del Terelj Park: http://transiberiando.blogspot.com
Cmq consiglierei a tutti i fan della transiberiana di accorciare la prima parte (diciamo Mosca-Ekaterinburg) per godersi di più il Bajkal e la Mongolia.
Probabilmente abbiamo fatto le stesse cose nelle nostre Transiberiane.. Anche io ho fatto un escursione di 2 giorni al Terelj Park
E approvo quando dici di accorciare la prima parte. A Ekaterinburg non c’è proprio nulla di interessante da vedere.
In che periodo hai fatto la tua transiberiana? 🙂
Sono stato lì in maggio, tre settimane con tappe intermedie Eka-Novo-Irkuts e il Bajkal-Ulan Baatar. Guarda qui se ti interessa:
http://www.vallecchi.it/sho_main.aspx?t=5&id=1876&cat=2626&az=390166&codice=VLCA-IS006
Più tardi gli darò un occhiata, nel frattempo ti vorrei invitare a partecipare al nostro gioco a premi, se ti dovesse interessare vincere un voucher da 500 Euro, leggi qui: https://www.viaggioideale.it/gioca-e-vinci/