Dopo mesi di attesa, il 29 maggio 2005 atterriamo ad Antananarivo. Ci attende Mahery: il simpatico autista che ci guiderà durante questi giorni nella sua terra.
La prima tappa è Antsirabe, una cittadina ricca di contraddizioni, con alberghi di lusso accanto a ristoranti e locali privi delle più basilari norme igieniche, e taxi che sfrecciano, superando a colpi di clacson i numerosi pousse-pousse, una sorta di risciò, trainati da uomini, nella maggior parte dei casi scalzi.
L’indomani giungiamo a Ranomafana. In attesa dell’ora di cena, andiamo a vedere cosa ci offre questo paesino. Numerosi bambini ci guardano passare e ci sorridono. Questo Madagascar inizia ad affascinarci. Prima di iniziare la visita del Parco di Ranomafana, le raccomandazioni della guida sono: “Attenzione a non scivolare e occhio alle sanguisughe”. La visita del parco dura più di tre ore, trascorse quasi senza accorgercene. In poco tempo vediamo un piccolo camaleonte e due lemuri: gli animali più rappresentativi del Madagascar. L’unico inconveniente sono le sanguisughe, infatti riescono a passare attraverso i calzettoni e quindi è necessario fermarsi per disinfettare la ferita.
Terminata la visita ripartiamo in direzione di Ambalavao. Andiamo subito alla scoperta del piccolo villaggio. Entriamo nel cortile di una scuola e veniamo circondati da bambini, con cui iniziamo a giocare. Chiediamo alle maestre il permesso di fare delle foto, e mostriamo loro le immagini impresse sul display delle nostre fotocamere. La loro gioia è alle stelle, ma la nostra probabilmente è ancora maggiore.
La tappa successiva è il Parco dell’Isalo. Percorrendo con la nostra jeep una strada in terra battuta passiamo davanti ad alcune capanne, dove vivono poche famiglie. Al nostro passaggio escono tutti fuori. Sembrano felici di avere visite, e ci mostrano le loro abitazioni di fango e paglia. Uno degli adulti ci mostra un bambino di pochi mesi, con una piaga tutta sporca sotto un braccio. L’unica cosa che possiamo fare è pulire quella ferita con il disinfettante che portiamo sempre con noi, e lasciare ai genitori delle salviettine disinfettanti, facendoci aiutare dalla nostra guida per spiegare loro come utilizzarle.
Dopo questo incontro lasciamo la jeep e proseguiamo a piedi, lungo l’argine di un torrente di acqua limpidissima, arrampicandoci sulle pietre, fino ad arrivare in un vero e proprio canyon. Quando il sole inizia a calare ripartiamo, perché dobbiamo percorrere a piedi i tre chilometri per tornare alla jeep. Anche oggi è stata una giornata intensa, così dopo cena andiamo a letto molto stanchi, ma estremamente soddisfatti.
L’indomani partiamo alla volta di Ifaty lasciando la strada asfaltata ed imboccando una strada sconnessa e polverosa, che si trasforma poi in una pista sabbiosa che costeggia il mare. Ad Ifaty pernotteremo in un bungalow sulla spiaggia. All’esterno siamo circondati da palme, banani e molte piante grasse.
Un uomo conosciuto sulla spiaggia ci invita da lui per la cena. La sua abitazione è molto piccola, sarà circa quattro metri per tre, e per fare posto a noi, tutta la famiglia è seduta fuori. Ci hanno apparecchiato un piccolo tavolo, su cui stanno precisi due piatti. Ci portano del riso e dei pesci alla griglia, e per dessert delle banane flambé. E’ tutto veramente buono, ed è un’esperienza molto piacevole.
Sveglia all’alba ed inizia la vera avventura. A bordo della nostra jeep imbocchiamo una pista di sabbia, che attraversa vari villaggi dove, nonostante l’ora mattutina, c’è già molta vita.
La stagione delle piogge è terminata da poco e la nostra è la prima vettura a fare questo percorso da quando la pista è stata nuovamente aperta (durante la stagione delle piogge viene chiusa), quindi alcuni tratti potrebbero essere difficilmente praticabili.
La jeep passa precisa in mezzo ai cespugli ed alcuni abitanti di un villaggio ci vengono incontro per suggerirci di cambiare pista perché quella che stiamo percorrendo è in pessime condizioni. Sono oltre due ore che viaggiamo, senza incontrare nemmeno un mezzo a motore. Iniziamo a vedere numerosi baobab, che si ergono maestosi dalla terra rossa, e all’ombra di uno di questi ci prepariamo un bel piatto di pasta.
Al primo villaggio che incontriamo ci fermiamo per chiedere informazioni sulla strada e ne approfittiamo per salire in cima ad una grande duna di sabbia, dalla cui sommità possiamo ammirare un mare stupendo. Una cinquantina di bambini ci seguono, con un misto di stupore e curiosità, e ci divertiamo a correre tutti insieme su e giù su quella bellissima duna.
Raggiungiamo Andavadoaka, un caratteristico villaggio di pescatori dove trascorreremo la notte, in un bungalow di legno un po’ malridotto, a pochi passi dal mare.
Di prima mattina ci uniamo a due ragazzi del villaggio, che ci accolgono sulla loro piroga, con una vela logora e più volte ricucita. Il mare è di una calma unica e l’acqua molto chiara ci permette di ammirare varie specie di pesci, tra cui delle bellissime stelle marine. Raggiungiamo un isolotto dove una barchetta ha appena raggiunto la riva e dei pescatori stanno ripulendo le reti, da cui tolgono anche due piccoli squali. Ne approfittiamo per fare un bel bagno, dopodiché compriamo un’aragosta appena pescata, che i nostri barcaioli ci cucineranno sulla griglia. E’ giunta l’ora di lasciare anche questo paradiso.
Il mattino successivo raggiungiamo la riva di un fiume, dove una chiatta ci attende per traghettarci sulla sponda opposta. Un uomo di questo villaggio sale sulla jeep con noi, per indicarci la strada, perché in molti punti la pista sparisce in mezzo alla boscaglia e senza l’aiuto di qualcuno del posto sarebbe facilissimo perdersi. Oggi il percorso è stato molto impegnativo: abbiamo impiegato circa 10 ore per percorrere 180 Km.
Ci prepariamo a trascorrere la notte in un bungalow di legno che lascia molto a desiderare, senza dubbio il peggiore tra quelli trovati fino ad oggi. Il bagno e la doccia sono esterni ed in pessime condizioni e così decidiamo che stasera eviteremo di lavarci…
Dopo un’altra giornata servita solo da trasferimento, ripartiamo di buon mattino. Dopo un centinaio di chilometri, percorsi in circa 5 ore, giungiamo a Belo Sur Mer. Troviamo alloggio in uno spazioso e accogliente bungalow sulla spiaggia, dove rimarremo per due notti. Il livello di questa struttura è molto superiore a quello dei posti dove abbiamo alloggiato fino ad ora e, sinceramente, dopo alcuni giorni di vera avventura, non disdegniamo un po’ di comodità.
Sulla spiaggia ci sono dei cantieri navali molto artigianali, dove vengono costruite le tipiche piroghe ricavate dai tronchi degli alberi, ma anche altre imbarcazioni più grandi utilizzate per il trasporto delle merci; tutto è molto rudimentale, ma proprio per questo spettacolarmente bello.
La mattina successiva, alla luce di una lanterna a petrolio, facciamo colazione poi andiamo a pescare. Tornati sulla spiaggia, attendiamo gli altri pescatori che rientrano al tramonto e, con l’interesse e la curiosità di due bambini, terminiamo la nostra giornata insieme a loro.
L’indomani lasciamo questo posto alla volta di Morondava, località nota per i suoi baobab. Imbocchiamo la solita pista sconnessa immersa nella vegetazione, incontrando soltanto alcuni carretti trainati da zebù. Dopo molte ore siamo a Morondava, dove andiamo a vedere il tramonto dal famoso viale dei baobab, il punto più fotografato di tutto il Madagascar (così dicono).
Il mattino successivo la sveglia è alle 06.00. E’ ancora notte ma per la strada c’è già vita. Ci dirigiamo verso il villaggio di Belo-sur-Tsiribihina, per raggiungere il “Parc National des Tsingy“, dove trascorreremo la notte in un vecchio bungalow di legno, utilizzato probabilmente come magazzino. Viste le sue pessime condizioni strutturali ed igieniche, decidiamo che dormiremo senza nemmeno spogliarci.
Il mattino successivo visitiamo il “grande Tsingy“, un parco caratterizzato da rocce affilatissime, canyon stretti e profondi e ponti sospesi. Nel parco, tra le meraviglie scolpite dalla natura, assistiamo ad uno spettacolo inatteso: una famiglia di lemuri salta da un ramo all’altro a pochi metri da noi. Li ammiriamo per un po’ ma poi siamo costretti ad andarcene perché le zanzare mi stanno divorando. Arriviamo a Belo-sur-Tsiribihina quando il sole sta tramontando e troviamo alloggio in un alberghetto misero, ma senza dubbio più accogliente del bungalow di ieri sera.
Siamo molto stanchi ed io non sto affatto bene, perché sono piena di punture di zanzare: su tutto il corpo sono riuscita a contarne oltre 250! Siamo anche un po’ preoccupati, perché temiamo che tutte queste punture possano portare un’infezione, ma per il momento cerchiamo di non pensarci. Come sempre, decideremo come affrontare il problema nel momento in cui dovesse presentarsi. Il giorno successivo assisteremo all’ultimo tramonto sul mare del Madagascar.
La serata scorre piacevolmente, anche se la tristezza, sia in noi che in Mahery, inizia a prendere il posto dell’allegria e della spensieratezza, perché questo bellissimo viaggio sta giungendo al termine.
Il mattino successivo la partenza è alle 06.00. Fuori dalle abitazioni ci sono molti fuochi accesi, nei corsi d’acqua lungo la strada molte persone si stanno lavando e la strada è già piena di carretti carichi di merci e bambini a piedi che vanno a scuola.
Dopo oltre 10 ore di un bellissimo susseguirsi di paesaggi naturali diversi, ci avviciniamo ad Antsirabe, la cittadina dove trascorremmo la nostra prima notte malgascia e dove, purtroppo, passeremo anche l’ultima.
Il 14 giugno siamo proprio alla fine. Partiamo in direzione di Antananarivo, dove Mahery ci farà conoscere sua moglie e sua figlia; per pranzo, infatti, saremo ospiti nella loro piccola casa, semplice ma dignitosa. Siamo tutti visibilmente tristi; il momento dei saluti è veramente difficile, perché siamo consapevoli che difficilmente potremo incontrarci di nuovo.
Il viaggio di ritorno scorre regolarmente, ma appena atterrati a Milano, il caos, lo smog, il traffico, le suonerie dei telefonini e la frenesia del nostro stile di vita ci fanno già rimpiangere il Madagascar.
Ringraziamo Mahery e la popolazione malgascia, per averci fatto capire che due “vasah” italiani possono sentirsi a casa propria anche in Madagascar.
1 commento
Salve
Sono Suzy. Non so ancora come ti chiami ma mi piace moltissimo il tuo articolo su Madagascar visto che sono malgascia nativa di Tuléar.
Ti invito a visitare anche il mio blog http://suzyetono.myblog.it/
Ciao ciao e aspetto notizie tue!
Suzy